È questo il terzo anno che si predispone un apposito Rapporto sulle dinamiche dell’artigianato trentino.
L’importanza del settore è fuori discussione sia per gli aspetti quantitativi che presenta (14.000 imprese, 20.000 tra titolari e soci e più di 37.000 addetti complessivi) sia per quelli più qualitativi: il fatto di essere costituito da soggetti economici che generano ricchezza ed occupazione fino nelle cellule più piccole del territorio, quello di promuovere coesione sociale attraverso l’opportunità di inserimento professionale che l’artigianato offre ai residenti e anche agli immigrati e quello di svolgere una funzione di laboratorio della microimprenditorialità che sollecita la voglia di autonomia e di scommessa economica e sociale nell’ambito della comunità locale.
Il “patrimonio” suddetto risulta tuttavia importante anche per una seconda ragione, legata al tema attuale della crisi economica che dalla seconda metà del 2008 a tutt’oggi ha interessato dapprima la finanza e poi l’economia reale.
Infatti il Rapporto 2009 si colloca all’interno di un passaggio strategico che vede l’artigianato impegnato su due piani: quello di metabolizzare le conseguenze della crisi in corso, mantenendo la propria solidità di fondo; ma anche quello di usare la crisi in funzione di una crescita ulteriore, costruendo via via quella “mutazione” necessaria per poter garantire la tenuta futura del settore.
L’analisi condotta ha permesso di individuare alcuni specifici “archi di tensione”, riconducibili essenzialmente ad un denominatore comune che vede:
da un lato, la tenuta inerziale del sistema artigianato, “forza quieta” dello sviluppo locale;
e dall’altro, l’azione centrifuga della differenziazione progressiva delle imprese che si trovano a dover affrontare un altro ciclo di discontinuità, probabilmente più incisivo rispetto a quello già sperimentato nel periodo 2002-2005.
Certo, per oggi la crisi sembra più vissuta sul piano dei timori e meno su quello della razionalità che guarda ai fatti reali, tanto da far dire al 60% degli intervistati che “sino ad oggi in Trentino si è avuto più paura degli effetti potenziali della crisi che non risentire degli effetti reali della medesima”.
Ma il percorso è ancora lungo, anche se il sostegno dell’ente pubblico non manca e – ci si augura – non mancherà. E allora il problema è quello di garantire il costante consolidamento della “forza quieta”, mentre si deve nello stesso tempo accompagnare la mutazione che serve a sostenere un nuovo ciclo di sviluppo nel dopo-crisi.
Si tratta perciò di adottare una strategia fine che aiuti il “motore diesel” del mondo artigiano ad aumentare compressione e resa, per poter uscire bene dall’attuale ciclo economico e restare patrimonio vitale e competitivo del territorio provinciale, anche nella prospettiva medio-lunga.
È interessante infine sottolineare come, vicino alle analisi dell’impatto della crisi, si sia dedicata attenzione alla fase pre-crisi attraverso uno studio condotto direttamente dall’Ufficio Rilevazioni e Ricerche Economiche del Servizio Statistica della Provincia Autonoma di Trento, che aveva predisposto un’indagine di campo ad hoc sulle imprese artigiane, con riferimento alla situazione in cui esse si trovavano al 31 dicembre 2007.
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